IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza. Premesso che, nell'ambito del procedimento di esecuzione della misura di sicurezza personale della liberta' vigilata, cui Colletti Filippo, nato a Caccamo il 2 giugno 1953, ivi residente in via Roma n. 113, e' stato sottoposto in forza dell'ordinanza del 17 dicembre 1993 del magistrato di sorveglianza di Palermo, lo stesso Colletti ha avanzato istanza diretta ad ottenere l'autorizzazione all'uso della patente di guida per ragioni lavorative, patente revocatagli a seguito della sua sottoposizione alla misura di sicurezza. Premesso che l'art. 120, primo comma, del codice della strada prevede, tra i requisiti ostativi al rilascio della patente di guida, la sottoposizione a misura di sicurezza personale e che l'art. 130, primo comma, lett. B) dello stesso codice prevede, in tal caso, ove la patente sia stata in precedenza rilasciata, che la stessa venga revocata. Ritenuta l'incostituzionalita' di tali norme per violazione degli artt. 3, 4, 16 e 27 della Costituzione, almeno nella parte in cui non prevedono che il magistrato di sorveglianza possa autorizzare, nei confronti delle persone sottoposte a misura di sicurezza personale, l'uso della patente di guida per comprovate esigenze lavorative. Invero, le norme denunziate si rivelano in contrasto con i principi di ragionevolezza e di parita' di trattamento normativo, ove confrontate con altre norme assunte come tertium comparationis, quali l'art. 228 del c.p. che al quarto comma indica nel riadattamento sociale della persona mediante il lavoro una finalita' che la liberta' vigilata deve agevolare e l'art. 62 della legge n. 689/1981 che al secondo comma prevede con riferimento alle misure della liberta' controllata e della semidetenzione che quando il condannato svolge un lavoro per il quale la patente di guida costituisce indispensabile requisito il magistrato di sorveglianza puo' disciplinare la sospensione della patente di guida in modo da non ostacolare il lavoro del condannato. Sotto il profilo della ragionevolezza, intesa come canone di coerenza dell'ordinamento giuridico, la questione si pone con particolare riferimento all'art. 228 del c.p., giacche', nei casi come quello che origina il giudizio a quo, in cui l'attivita' lavorativa richiede l'uso di automezzi e della relativa patente di guida, il ritiro di tale patente, nel corso dell'esecuzione della liberta' vigilata con conseguente impossibilita' o maggior difficolta' di svolgimento dell'attivita' lavorativa, contraddice le stesse finalita' specialpreventive e risocializzanti della misura di sicurezza, inducendo contrari effetti criminogeni e desocializzanti. In tali casi la legge finisce con il contraddire se stessa, impedendo con una norma il raggiungimento di una finalita' che si prefigge con altra norma. Sotto il profilo della parita' di trattamento normativo tra situazioni simili, la questione di pone con particolare riferimento all'art. 62 della legge n. 689/1981, giacche', al di la' della diversita' delle misure (sanzioni sostitutive della pena detentiva e misura di sicurezza personale), identica e' la ratio che impone un medesimo trattamento normativo ossia il carattere rieducativo e risocializzante del lavoro che non deve essere ostacolato bensi' agevolato da tali misure. Su tale linea argomentativa, si rileva che le denunziate norme violano, altresi', l'art. 27 della Costituzione, giacche', nell'ambito della finalita' rieducativa riferibile, a giudizio del rimettente, anche alle misure di sicurezza ed, in particolare, alla liberta' vigilata (finalita' gia' insita nella configurazione normativa dell'art. 228 del c.p. e accentuatasi con la legge 26 luglio 1975, n. 354), il lavoro si pone come un fondamentale elemento del processo rieducativo e come tale deve essere, nelle sue varie forme, agevolato e non ostacolato. Infine, le norme denunziate presentano profili di incostituzionalita' per contrasto con gli artt. 4 e 16 della Costituzione, in quanto determinano, in casi come quello che ha originato il giudizio a quo, una irragionevole limitazione del diritto alla libera circolazione a mezzo di autoveicoli e una conseguente irragionevole compressione del diritto-dovere di svolgere una attivita' lavorativa secondo le proprie possibilita' e le proprie scelte, allorquando tale attivita' e' connessa all'uso di autoveicoli. L'irragionevolezza di tali limitazioni discende, oltre che dagli argomenti prima esposti, dalla considerazione che, nel vigente sistema delle misure di sicurezza personali, tutti i casi di pericolosita' sociale presunta ed i connessi effetti automatici sono stati aboliti e, nel quadro della piena giurisdizionalizzazione di tali misure, la decisione circa l' an ed il quomodo della loro applicazione e' affidata alla discrezionalita' della magistratura di sorveglianza. In contrasto con tale sistema e con i principi che lo informano, gli artt. 120 e 130 del codice della strada riconnettono la compressione di diritti costituzionalmente garantiti, come quelli in esame, non gia' ad un giudizio concreto di pericolosita' sociale che giustifichi, per ragioni di sicurezza di volta in volta apprezzabili, tale compressione, sibbene ad un rigido meccanismo di automatica e inderogabile preclusione normativa dipendente dal semplice fatto della sottoposizione presente o passata alla misura di sicurezza personale. Tale sottoposizione si atteggia non gia' quale indice di attuale pericolosita' sociale, come puo' desumersi dalla rilevanza data anche alla sottoposizione passata, sibbene quale requisito morale ostativo, come esplicitamente indicato dalla stessa rubrica dell'art. 120 del codice della strada. Siffatta automatica e inderogabile preclusione normativa sottrae cosi' in modo irragionevole una sfera di liberta' costituzionalmente rilevante alle garanzie di giurisdizionalita' e di valutazione discrezionale dei concreti presupposti per la sua compressione, garanzie sancite, in materia di esecuzione delle misure di sicurezza, dall'art. 2, n. 96, della legge 16 febbraio 1987, n. 81. Tale limitazione ex lege si configura, altresi', nella disciplina dell'art. 120 del codice della strada, come una sorta di pena accessoria anomala conseguente alla sottoposizione alla misura di sicurezza, una sorta di capitis deminutio morale del soggetto, reintegrabile soltanto con la riabilitazione e, come tale, non riconducibile ai motivi di sicurezza che l'art. 116 della Costituzione pone come ragione giustificatrice della limitazione legislativa. Ritenuto, alla luce delle considerazioni prima svolte, di dover sollevare la prospettata questione di legittimita' costituzionale, in quanto rilevante e non manifestamente infondata.